martedì 22 gennaio 2008

David Peace, Tokyo anno zero


Giappone, agosto 1946: un anno dopo la resa incondizionata, un anno dopo l’«ora zero», Tokyo è una città devastata dalla guerra che si erge su un cumulo di cenere e macerie. Una città mutilata e umiliata, in ginocchio ai piedi dei Vincitori. La lotta per la sopravvivenza prende le sembianze delle giovani donne che vendono il proprio corpo e la loro adolescenza in cambio di un pasto caldo, di un mercato nero gestito dalla nuova malavita che diviene l’unico luogo in cui procurarsi cibo e medicinali, di un esercito di parassiti che affollano le campagne in cerca di quel poco che resta da mangiare.

Nella Tokyo dell’immediato dopoguerra nemmeno l’identità è più una certezza: nel disperato tentativo di seppellire il proprio passato e di crearsi un nuovo futuro, i vivi prendono a prestito quella dei morti. Nella Tokyo sanguinante «nessuno è quel che sembra, nessuno è quel che dice di essere». Qui, «in questo luogo di morte, in questo luogo di silenzio», vengono rinvenuti due cadaveri di giovani donne stuprate e strangolate che sembrano ricollegarsi a quello di Miyazaki Mitsuko, trovato un anno prima nelle stesse condizioni, nello stesso luogo. L’indagine è affidata all’ispettore Minami: un uomo costretto ad assumere Calmotin in quantità industriali per potersi addormentare, un uomo i cui sogni sono popolati dai fantasmi del suo passato, dagli orrori della guerra. Un’indagine che lo condurrà, cadavere dopo cadavere, alla scoperta di ciò che ancora riesce a muoversi e a camminare nei meandri di una Tokyo in bilico fra follia e sopravvivenza, violenza e corruzione.

L’approccio al romanzo non è certamente dei più semplici e immediati, complice il particolarissimo stile di Peace: una scrittura tesa, fatta di scatti repentini, fortemente onomatopeica, capace di muoversi contemporaneamente tra piani narrativi differenti, tra ciò che (forse) è e ciò che (forse) non è. Una scrittura sempre e comunque in grado di rendere con straordinaria autenticità l’essenza più intima e sconcertante di una società precipitata all’anno zero della sua esistenza.

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