venerdì 26 febbraio 2010

La scena-cult della settimana



Un classico immortale, una scena che ha lasciato un segno (anzi, un morso) indelebile sulla storia del cinema.
Da ammirare e venerare fino allo sfinimento.

martedì 23 febbraio 2010

Gorillaz - Plastic Beach Trailer

Consiglio: guardate questa chicca di trailer almeno in 720p!

Akihabara Majokko Princess

Colto da attacco di nostalgia Giappa e al fine di abbassare il livello intellettuale ultimamente troppo elevato di questo blog, posto questo bellissimo video con protagonisti Kirsten Dunst e gli assurdi personaggi che popolano ogni giorno il quartiere di Akihabara "The Electric Town" Tokyo, Akiba per gli amici. Sayonara desu.

Nik-nik-nik-f-f-f-Indians!


Ormai completamente consumato dall'attesa per la nuova piccola (che, Cthulhu volendo, nascerà intorno a Pasqua), ieri sera ho rivisto per l'ennesima volta Easy Rider (prevedo tempi difficili per la Regina Ratta...).
E, per l'ennesima volta, sono giunto alla stessa conclusione: grandissimo film (ma questo è scontato) e, soprattutto, uno dei migliori finali della storia del cinema.
Per il sottoscritto, orribilmente schizzinoso sull'argomento (tanto che spesso e volentieri li rimuovo, discorso valido anche per i libri), è veramente tanta roba.

giovedì 18 febbraio 2010

The Inside Man

Oggi, sulle pagine di Malpertuis e Strategie evolutive, i Mastri di Chiavi (nonché Guardia di Porta) Elvezio Sciallis e Davide Mana hanno rispettivamente inaugurato e approfondito un'importante discussione sulle modalità di diffusione della cultura in un momento in cui tali modalità stanno attraversando una profonda e (fortunatamente, dico grazie sai) irreversibile trasformazione.
Da una parte, Elvezio (E., correggimi se sbaglio) ha ribadito la sua personale esperienza di autore/diffusore impiratabile (yes, that’s really cool!) in quanto felicemente estraneo alla filiera industriale: lui i suoi scritti li diffonde gratuitamente in forma elettronica, sentendosi pienamente ripagato dal fatto di raggiungere il maggior numero possibile di lettori e proponendo un’interessantissimo concetto di scambio alla pari:
Raggiungere più persone per me è, senza nessun dubbio, più importante che cavarci fuori dei soldi.
E in realtà, nulla di tutto ciò è gratis.
Voi state già pagando un sacco quando leggete dei miei scritti.
Penso non tanto e non solo alle normali recensioni (che già comunque....) quanto piuttosto agli articoli lunghi contenuti nella sezione dossier. Quello riguardante il porno, per esempio. O quello sugli zombie, su Dantec, diamine, quello sul Nuovo Gotico del Sud!
Voi state già pagando!
E state pagando salato, ma di brutta!
Pagate in termini di minuti spesi a leggermi ed energia mentale spesa a digerire, assimilare e quindi magari anche commentare quel che ho scritto.
Quei minuti non ve li darà indietro mai più nessuno. Non li potrete più riguadagnare o barattare.
Per me è il punto centrale, questo.
Siamo pari.

Qui l’articolo completo.

Dall’altra parte, Davide rilancia e punta i riflettori su un altro fenomeno assolutamente centrale per comprendere a fondo lo stato attuale dell’editoria italiana: la pressoché totale inesistenza dello scrittore di professione.
Noi viviamo in un paese nel quale gli scrittori professionisti – quelli che scrivono per mangiare, pagare l’affitto, mandare a scuola i figli, non esistono.
 Andate a farvi un giro degli scaffali della libreria che preferite.
 Quanti autori italiani viventi vivono della propria scrittura? 
Sfogliate le loro bibliografie, e troverete:
insegnanti e docenti universitari, praticanti o in pensione
ricercatori universitari
professionisti
giornalisti
Spostandovi in certi settori, troverete anche attori e soubrette, comici televisivi, calciatori.
 Anche i più saldi nelle posizioni di “scrittori puri” fanno anche un altro lavoro – opinionisti per giornali e TV, traduttori.
Ciascuno di costoro – dall’Olimpo dove siede Umberto Eco alla stanzetta fredda nella quale io sto battendo sui tasti – ciascuno di coloro che scrivono (o vorrebbero scrivere) “scrittore” sui biglietti da visita, si mantiene facendo altro. 
Non sono professionisti.
 Sono dilettanti.

La riflessione prosegue e affronta altri problemi di grande rilevanza: qui il suo intervento in forma integrale.

Come molti di voi sanno, io lavoro in e per una casa editrice. Più precisamente, nell’ufficio marketing di una casa editrice.
Con questo intervento vorrei contribuire alla discussione affrontando l’argomento da un punto di vista un pochino più interno e, perché no, anche interessato.
Dal momento che per approfondire tutte le problematiche toccate da Elvezio e Davide dovrei stare in piedi la notte, e chi mi conosce sa bene che a me la palpebra cala presto (cazzo, son diventato vecchio), preferisco inserirmi nel dibattito imboccando solo una delle infinite strade possibili: quella che conduce alla visibilità di uno “scrittore” esordiente (povero illuso) italiano nel mercato attuale.

Ci tengo a riportare di seguito qualche dato tratto dal Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2009 (la sintesi del rapporto, che nella versione integrale costerebbe la follia di 25 euro, è consultabile e scaricabile qui). Perché è facile dire “in Italia si legge poco”, tutt’altra cosa è trovarsi di fronte ai numeri.

In Italia, nel 2008, i lettori di almeno un libro non scolastico sono il 44% della popolazione con più di 6 anni d’età. Di costoro:
- il 47,7% non legge più di 3 libri l’anno
- Il 13,2% ne legge uno al mese (circa 3,2 milioni di persone).
Converrete con me che si tratta di cifre ridicole.
A fronte di tale imbarazzante pochezza di “consumatori”, l’offerta si configura in questi termini: nel 2008, si sono dichiarate “case editrici” 10.335 società. Tuttavia, di costoro, quelli che hanno venduto almeno UN LIBRO, UNO SOLO, attraverso i canali trade (librerie, grande distribuzione ecc.) sono 2.600. Non ci vuole un genio per rendersi conto che più o meno 4 “case editrici” su 5 non pubblicano nemmeno un libro l’anno. Chi sono, Cosa fanno?, mi chiederete voi. Non lo so, spiacente. Resta il fatto che, da queste cifre, emerge, tra gli altri, un problema piuttosto grave di visibilità dell’opera.

Dal momento che, com’è normale che sia, l’offerente tende ad accontentare la maggior parte possibile dei consumatori, introducendo sul mercato prodotti che vadano incontro ai loro mutevoli gusti, e che, nel caso specifico dell’editoria italiana che, il bacino d’utenza è costituito da una percentuale ridicola della popolazione, la minoranza dei lettori, costituita da chi vorrebbe vedere, sullo scaffale “horror” (sempre che esista), qualcos'altro oltre alle streordinarie peripezie di pruriginosi adolescenti dai denti aguzzi, questa minoranza è, se mi passate il termine, pressoché fottuta.

Un conto è un mercato come quello statunitense, nel quale le case editrici, potendo far leva su un bacino d’utenza di ragguardevoli dimensioni, possono permettersi di accontentare ampie fasce di consumatori, dai gusti eterogenei, un conto è il mercato italiano, dove i lettori sono pochi e tendenzialmente attratti dalla moda del momento o dal nome di spicco.
Vero, molte case editrici, potendo contare su fenomeni letterari in grado di sollevarne improvvisamente le sorti, potrebbero (anzi, dovrebbero) osare di più: ne parlavo giusto un paio di giorni fa con abo a proposito del caso Marsilio Black. Fino a poco tempo fa Marsilio pubblicava, nella collana Black, autori (Will Christopher Baer, per esempio) molto interessanti, ma dal successo commerciale estremamente limitato. La collana fu costretta a chiudere. Poi piovve dal cielo il signor Stieg Larsson e Marsilio, dopo averlo spremuto per bene, si lanciò nel mercato immobiliare (sul serio). Ciononostante, nessuno pensò che forse sarebbe stato il caso di resuscitare Marsilio Black. E così il terzo capitolo della trilogia di Phineas Poe qui da noi non vedrà mai le stampe, e Marsilio si è giocata un potenziale lettore. Sono certo di non essere l’unico.

Dicevamo: nel migliore dei casi, escludendo quindi le grandi concentrazioni editoriali (su cui sarebbe utile aprire un discorso a parte), le case editrici accontentano le masse (se di masse ha senso parlare) per necessità di sopravvivenza in un mercato dalle ridicole proporzioni come il nostro. Si tende quindi a cavalcare il fenomeno del momento (vampiri oggi, mummie domani?) e, salvo rarissimi casi di lodevole spirito pionieristico, quantità e qualità dell’offerta precipitano verso insondabili baratri di mediocrità.

Consideriamo ora la situazione dal punto di vista di un aspirante scrittore nostrano, che offre il frutto delle sue fatiche a una serie di case editrici. Nell’improbabile caso che qualcuna accetti di pubblicarlo, si troverà di fronte a una situazione tutt’altro che rosea: il suo romanzo verrà sì stampato e esposto sugli scaffali delle librerie, ma in una quantità di copie ridicola (in Italia la tiratura media di un libro è di circa 4.000 copie. Sì, avete letto bene, 4.000) e a un prezzo esorbitante (eh, la casa editrice dovrà pur coprire i costi!). Risultato: fatta eccezione per geniali capolavori (ve ne ricordate qualcuno per caso?), poderose leccate di culo o massicce campagne di marketing preventivo che fanno leva sul fenomeno del momento, il giovane autore venderà pochissimo e il suo guadagno sarà prossimo allo zero.

E qui arriviamo al discorso e-distribuzione gratuita: a tutti costoro, che vorrebbero avere l’opportunità di rivolgersi a un pubblico che, per tutti i motivi sopra elencati e altri ancora, sono pressoché impossibilitati a raggiungere, la distribuzione gratuita della loro opera in forma integrale (e non quelle cazzo di 10 pagine che ti regalano tutti) farebbe enormemente bene. Al lettore giudicare la bontà della sua opera. E sarebbe un toccasana anche per gli editori, che potrebbero avvalersi di un palcoscenico altamente democratico come la rete per far coincidere domanda e offerta senza dover passare dai costosi canali tradizionali, ampliando di conseguenza le loro prospettive future. Io sono sicuro al 99% che, come conseguenza, magari non immediata, le vendite in libreria aumenterebbero. Ci guadagna lo scrittore, che forse, un giorno, potrebbe veramente guadagnarsi da vivere grazie alla sua passione, trasformandola in un lavoro onestamente retribuito; ci guadagna l’editore, che avrebbe l’opportunità di saggiare il terreno dei lettori per cercare di applicare politiche editoriali meno soggette al trend del momento; e, cosa più importante di tutte, ci guadagna il lettore, stanco di essere preso per il culo da un mercato che offre in media prodotti qualitativamente pessimi a costi decisamente eccessivi. E ne ho viste (e soprattutto lette) di cose...

Vogliamo spingerci oltre? Io dico che, in un momento di interregno come questo, la distribuzione gratuita online farebbe bene a tutti gli scrittori, anche a quelli affermati, italiani o stranieri che siano. Ma vi assicuro che l’avidità non è prerogativa solo delle case editrici: oggi ho sentito di un autore che, per concedere i diritti di pubblicazione della versione elettronica di un suo romanzo, pretendeva che il prezzo di vendita al pubblico non fosse inferiore al 65% di quello dell’edizione hardcover.
Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. O forse no.

IL FESTIVAL DELL'ADDENDA
Sulle pagine del suo blog, Valentino Sergi propone un'altra importante riflessione sull'argomento.
Di qualche giorno fa è invece questo post del Duca Carraronan, Guardia di Porta di Baionette librarie, riguardo al prezzo di "copertina" degli eBook. Ne emerge uno scenario sorprendente, che apre prospettive molto importanti.
E ancora: nuovo post del Duca Carraronan sull'argomento eBook.
La questione si fa sempre più interessante.

RASSEGNA STAMPA
"Il libro, questo sconosciuto." (la Repubblica, 17 febbraio 2010)

mercoledì 17 febbraio 2010

Fantastic Mr. Fox: la rat-censione

Titolo: Fantastic Mr. Fox
Anno: 2009
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Noah Baumbach
Soggetto: Roald Dahl
Musiche: Alexandre Desplat
Cast (voci): George Clooney, Meryl Streep, Jason Schwartzman, Bill Murray, Jarvis Cocker, Owen Wilson, Willem Dafoe, Helen McCrory

Mr. Fox è una volpe fortunata: abita in un’accogliente tana sotterranea con una moglie innamorata e un figlio che attraversa la più classica crisi d’identità adolescenziale, tiene una rubrichetta sul quotidiano locale e conduce una vita serena e tranquilla. Troppo tranquilla per una vecchia volpe come lui, che ha alle spalle un passato di inafferrabile razziatore di pollai, un passato rinnegato per amore della moglie.
Così le pareti di terra della tana iniziano a stargli strette, e Mr. Fox decide di trasferirsi in un nuovo, più spazioso appartamento, ricavato all’interno di un albero che sorge su una collina. Quando scopre che, a poche centinaia di metri dalla sua nuova dimora, sorgono tre fattorie, il suo istinto predatorio affiora irrimediabilmente in superficie: dopo anni di riposo forzato, è nuovamente tempo di rubare polli e tacchini. Peccato che i tre fattori non siano tipi da lasciarsi prendere per i fondelli tanto facilmente.

Premetto subito che sono un grande ammiratore di Wes Anderson e che amo indiscriminatamente tutta la sua produzione cinematografica, da Rushmore a The Darjeeling Limited. Adoro praticamente tutti i personaggi scaturiti dalla sua fervida immaginazione, Royal Tenenbaum e Steve Zissou su tutti. Ciononostante, l’obiettività viene prima di tutto: giudicare un film sulla base di preconcetti, per quanto fondati possano essere, è la morte della critica, amatoriale o professionale che sia. Spero pertanto che questa breve premessa possa dare più valore al mio giudizio sull’ultima fatica dell’eccentrico regista statunitense.

Come già anticipato in un breve commento qualche giorno fa, considero Fantastic Mr. Fox un gioiellino all’interno del cinema d’animazione, una piccola e preziosa anomalia.
Chi, come il sottoscritto, è particolarmente affezionato alla produzione di Anderson si sentirà perfettamente a suo agio tra i dialoghi brevi e incisivi, conditi da affilate punte di sarcasmo, i personaggi delineati con il tipico tratto ruvido, le situazioni e le scelte registiche peculiari del suo modo di fare cinema.
Chi, al contrario, fosse digiuno dei suoi film, non potrà che essere conquistato da uno stile cinematografico che fa di in un’esplosiva miscela di umorismo, ironia e situazioni ai limiti del grottesco la sua cifra fondamentale.

Le peripezie di Mr. Fox e dello sgangherato branco di animali selvatici di cui ama circondarsi potrebbero benissimo essere quelle vissute dalla folle famiglia Tenenbaum, con tutte le sue manie, isterie e peculiarità. O dal delirante equipaggio della Belafonte, la nave sulla quale Steve Zissou imbarca i compagni alla ricerca di un improbabile mostro marino.

Credo sia importante però tenere a mente una cosa: questo è un film d’animazione, un genere che, nonostante alcuni lodevoli tentativi (non sto pensando alla Pixar, autrice di splendidi film d’animazione per ragazzi), rimane saldamente ancorato alla sua fortunata tradizione.
E’ qui che scatta il cortocuito, che l’anomalia prende forma: Fantastic Mr. Fox è irrimediabilmente un film d’animazione, ma è, altrettanto indubbiamente, una cinica e disincantata commedia andersoniana. Siamo sicuri che un ragazzino la apprezzerebbe? Che, al di là di qualche scena che ispira la facile risata (ma vi assicuro che non sono molte, anzi) e di qualche buffo personaggio, si divertirebbe come a una proiezione di Up, Shrek & compagnia bella? E siamo sicuri che lo spettatore medio andrebbe a vedere un film d’animazione in stop motion?
Già, perché in un momento nel quale il cinema tenta disperatamente di salvare il salvabile grazie all’indiscriminato abuso del 3D, unico margine di vantaggio reale che la sala può ancora (temporaneamente) vantare sull’home cinema, Wes Anderson ti gira un film in stop-motion (o “passo uno”), particolare tecnica che stende sul film una patina leggermente vintage e allo stesso tempo gli conferisce un effetto “scattoso” e in un certo modo grossolano che calza alla perfezione alla spigolosità tipica delle situazioni e dei personaggi ricorrenti nel suo cinema.

Appunto, i personaggi. In ordine sparso: Mr. Fox, il protagonista, vecchio volpone che non riesce a tenere a freno i suoi istinti predatori; Ms. Fox, la moglie, che tenta disperatamente di tenerlo lontano dai guai, a costo di mandare a monte il suo matrimonio; Ash, il figlio insicuro e impacciato, desideroso di seguire le ingombranti orme di un padre vincente; Kristoffen, il cugino perfetto in tutto ciò che dice e fa; Kylie (un opussum), miglior amico di Mr. Fox nonché complice delle sue bizzarre iniziative; Badger (un tasso), avvocato e consulente finanziario di Mr. Fox; Boggis, Bunce & Bean (esseri umani), imprenditori nel campo dell'allevamento intensivo nonché bersagli prediletti delle razzie notturne di Mr. Fox; Rat, un ratto (come si evince dal nome) dal serramanico facile nonché guardiano del preziosissimo sidro di Bean. E via dicendo, in un’indimenticabile carrellata di vizi, stravizi e virtù.

Da un lato troviamo gli animali, ognuno indispensabile alla causa di Mr. Fox (ma che ben presto diverrà giocoforza quella di tutti) non tanto perché appartenente a una determinata specie, e di conseguenza dotato delle caratteristiche genetiche a essa riconducibili, bensì in quanto essere unico, dotato delle propria, irripetibile specificità.
A guidarli l’incredibile Mr. Fox, centro di gravità di tutti gli eventi esattamente come lo sono Royal Tenenbaum e Steve Zissou.

Dall’altro,

Boggis, Bunce and Bean
One fat, one short and one lean.
These horrible crooks,
so different in looks.
were none the less equally mean
.

Uno grasso, uno basso e uno magro, diversi nell’aspetto, e tuttavia uguali nella sostanza e uniti negli intenti: uccidere la volpe, a costo di distruggere un’intera vallata a colpi di bulldozzer e dinamite.
E così faranno, ma il risultato, ovviamente, non sarà quello sperato.

Anche dal punto di vista visivo e sonoro la firma di Anderson è autentica al 100%: dalla scelta cromatica, che ricade su colori caldi e accesi, agli improvvisi primi piani che indugiano sulle espressioni (o inespressioni) dei volti, fino ai famigerati spaccati orizzontali delle location, inquadrate col tipico sguardo da “formicaio di vetro” che strapperà un sorriso a tutti i fan di Life Acquatic (sì, lo so, sono fissato).

Una menzione speciale alla splendida colonna sonora firmata da Alexandre Desplat e arricchita da pezzi di Beach Boys, Rolling Stones e altri giganti della musica, e agli attori (molti dei quali appartenenti alla scuderia dei fedelissimi di Anderson) che hanno prestato le loro voci ai personaggi: da George Clooney a Owen Wilson, da Meryl Streep a Bill Murray, da William Dafoe a Jason Schwartzman.

Il consiglio del sottoscritto è, come sempre, di quello di godersi il film in lingua originale.

Link utili
Il sito ufficiale del film (splendidi i wallpapers).
Wes Anderson su Wikipedia.
Un'intervista a Bill Murray, Wes Anderson e George Clooney.
La tracklist della colonna sonora.

Una data di uscita europea per Fragile Dreams

Ce l'ha fatta: uscito in Giappone a marzo 2009, con un anno di ritardo sbarca anche nel vecchio Continente Fragile Dreams, avventura/rpg in terza persona sviluppata in esclusiva su Wii da Namco Bandai.

Il gioco, ambientato in un futuro post-apocalittico in cui l'umanità è pressoché scomparsa, ha una forte componente esplorativa e promette di sfruttare degnamente l'accoppiata Wiinote-Nunchuck per accentuare l'effetto-immedesimazione.

In uscita il 19 marzo.

Qui una ricca galleria d'immagini.

lunedì 15 febbraio 2010

Rattini

Negli ultimi giorni qualcosina ho rosicchiato: l’ispirazione era poca, la Legge Fondamentale Numero Uno (se vuoi recensire qualcosa, fallo prima di dedicarti ad altro) è stata infranta, rimangono le briciole. Una di loro, persa per strada un po' di tempo fa, quando ancora bazzicavo le viuzze di Kyoto.

In ordine cronologico:

Autore: Lars Kepler
Titolo: L'ipnotista
Categoria: Libri
Casa editrice: Longanesi
Giudizio: Uno dei romanzi più inutilmente pompati degli ultimi anni.
Trionfo del marketing, pochezza di scrittura e contenuti, credibilità della trama zero.
Un consiglio, signor (o meglio, signori) "Kepler": la prossima volta (perché ce ne sarà sicuramente una) evitate per lo meno l'indicativo presente, non si addice alla vostra didascalica prosa.
Traballante.



Titolo: Dagon - La mutazione del male
Categoria: Cinema
Regia: Stuart Gordon
Soggetto: H.P. Lovecraft
Sceneggiatura: Dennis Paoli
Giudizio: Ovvero, l'arte di rendere ridicolo uno dei racconti più inquietanti e significativi del Sognatore di Providence.
Cast vergognoso, qualche buona scelta registica, sceneggiatura da bruciare.
Imbarazzante.





Titolo: Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo
Categoria: Cinema
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Terry Gilliam, Charles McKeown
Giudizio: Gilliam costruisce bene, ma si lascia prendere la mano: i contorni della sua visione sfumano nell'indefinito e il film scivola progressivamente nel manierismo.
Grande prova di Heath Ledger, Johnny Depp sprecato (e sempre più uguale a se stesso).
Frammentario.




Titolo: Assassin's Creed 2
Categoria: Videogiochi
Sviluppo: Ubisoft Montreal
Giudizio: Aggirarsi silenziosi tra le calli di Venezia, ponti a colpire nell'ombra; scalare le torri di San Gimignano al tramonto; strisciare nelle catacombe sotto Santa Maria Novella e ammirare Firenze dalla cupola di Santa Maria in Fiore…
Fascino e mistero, complotti e assassini, sullo sfondo di un'Italia rinascimentale ricostruita con attenzione maniacale.
Peccato per le derive misticheggianti di un confusissimo finale.
Immenso.

venerdì 12 febbraio 2010

La scena-cult della settimana: "Funny how?"



Indimenticabile dialogo (monologo?) tratto da quel pezzo di storia del cinema che è Goodfellas (ora che ci penso, sono anni che non lo vedo... un'altra cosa da fare nel weekend?).
Enjoy!

domenica 7 febbraio 2010

Una settimana da e-reader

Dopo qualche tentennamento dovuto principalmente a questioni economiche, domenica scorsa ho finalmente acquistato il mio primo eBook reader. Il modello sul quale è caduta la mia scelta è il recente Cybook Opus della Bookeen, azienda francese, come si suol dire, leader nel settore. Il presente articolo vuole dunque essere un breve resoconto di una settimana durante la quale la mia esperienza di lettura è stata quasi esclusivamente digitale: non ho tuttavia alcuna intenzione di inaugurare sul queste pagine una diatriba inchiostro “vero” vs E-Ink, carta vs chip ecc, né tantomeno inserirmi nel già accesissimo dibattito sulle potenzialità e le prospettive del nascente mercato dell’eBook.

Quello su cui invece ho intenzione di concentrarmi è il modo in cui il Cybook Opus ha cambiato la mia personale esperienza di lettura durante questi primi 7 giorni, esperienza che è giocoforza strettamente legata alle caratteristiche fisiche e del software del lettore in questione. Dato che, tuttavia, la tecnologia E-Ink dovrebbe essere più o meno la stessa su tutti i (pochi) lettori attualmente sul mercato, immagino che gran parte di queste considerazioni possano considerarsi valide anche sui quelli di altre marche, da Kindle ai vari Sony Reader.

Partiamo dunque dalla carattieristica più veniale ed evidente: il prezzo. Il Cybook Opus è l’eBook reader più economico sul mercato italiano, ma questo non significa che sia regalato: costa infatti la bellezza di 250 euro, poco meno del famigerato Kindle, che di listino costa 259 dollari ma che, tasse doganali e spese di spedizione incluse, arriva circa a quota 280. Un prezzo decisamente eccessivo per un oggetto che è esclusivamente un ebook reader: niente wifi, niente possibilità di collegarsi alla rete né di installare applicazioni di terzi. Ma diciamocelo chiaramente, chi mai navigherebbe su uno schermo monocromatico? Resta il fatto che in questo momento la tecnologia degli eBook reader paga lo scotto di un mercato ancora molto acerbo, un po’ quello che successe con i primi, rozzi lettori mp3.

Chi decidesse che il gioco vale la candela e si alleggerisse del cash necessario all’acquisto, si ritroverebbe tra le mani una scatola contenente lo stretto indispensabile: l’oggetto del desiderio, una custodia in finta pelle (non a libro, è una specie di busta protettiva robusta e ben imbottita), uno scarnissimo manualetto di istruzioni e un cavo usb. Niente cavo di alimentazione e soprattutto niente software da installare. Sì, perché il vostro Opus nuovo fiammante verrà istantaneamente riconosciuto dal vostro sistema operativo (Windows, Mac OSX, Linux, poco importa) come dispositivo usb, con all’interno un bel set di cartelle prefatte (potrete ovviamente crearne di nuove) nelle quali immagazzinare eBooks e immagini. Più user friendly di così si muore. I formati supportati sono html, txt, pdf, ePub, mbp, gif e jpg. Qualcuno potrebbe chiedersi per quale motivo dovrebbe caricare delle immagini su un reader monocromatico: vi assicuro che le versioni digitali dei manga si fanno decisamente apprezzare. Dulcis in fundo, nel reader sono già preinstallati circa 75 classici della letteratura europea (ovviamente tutti fuori diritti), da Moby Dick all’Aminta, da Alice nel paese delle meraviglie fino a Così parlò Zarathustra.

Passiamo dunque alle carattertistiche fisiche e tecniche: il Cybook Opus monta uno schermo E-Ink monocromatico da 5 pollici con risoluzione 800x600 (200 dpi, 4 livelli di grigio), è alto 15 cm, largo quasi 11, spesso un centimetro e pesa 150 grammi. Un peso piuma, caratteristica che ha influenzato notevolmente la scelta del sottoscritto. Giusto per farvi capire, ecco un po’ di pubblicità comparativa: il Kindle, con uno schermo da 6 pollici, pesa 292 grammi, il futuro iPad (schermo da 9 pollici) 680, il Sony Reader Touch (il più piccolo di casa Sony) quasi 300. Proprio quest’ultimo ho avuto modo di confrontare direttamente con il mio Opus: vi assicuro che la differenza è notevole e che le vostre braccia la sentiranno eccome.
La qualità dei materiali utilizzati è più che discreta e, pur essendo i tasti un po’ troppo resistenti alla pressione e plasticosi al tatto, l’impressione generale è di una certa solidità.
Il sistema operativo su cui si basa il reader Bookeen è Linux 2.6; la memoria interna è da 1 giga (circa 1000 eBook) ed è espandibile tramite scheda micro SD. Sempre tramite scheda di memoria è possibile eseguire gli aggiornamenti firmware (quello più recente, che aggiunge importanti funzionalità, è il 2.0).

Una volta acceso (il processo richiede pochi secondi), l’Opus si contraddistingue subito per l’estrema facilità d’uso, che si traduce in menu scarni ma dotati delle funzioni essenziali a rendere il più naturale possibile la nostra esperienza lettura: dunque, un po’ alla rinfusa, possibilità di cambiare tra 12 diverse dimensioni del carattere, di scegliere il font che più ci aggrada (solo con firmware 2.0) tra i 3 preinstallati (ma è possibile aggiungere tutti i font che si vogliono, a patto che siano OpenType), organizzazione della libreria a “pagine” (lista di tutti i libri presenti) o a cartelle (un po’ come sul desktop di un computer), possibilità di attivare o disattivare il refresh completo a ogni cambio di pagina (col refresh completo non è presente il leggero effetto ghosting che affligge la visualizzazione priva di tale opzione, ma la transizione tra una pagina e l’altra è leggermente più lenta e la batteria ne risente… dato tuttavia una ricarica completa garantisce circa 8000 “sfogliate”, traducibili in due settimane di utilizzo a getto continuo, beh, il mio consiglio è ovviamente quello di mantenere il refresh completo attivo) e altre amenità. Molto apprezzata inoltre la presenza dell’accelerometro, che permette quindi anche la lettura in landscape mode.

Ok, tutto molto bello e interessante, ma arriviamo al dunque, alla domanda fondamentale: com’è leggere un libro su sto coso? Comodo, riposante e molto più simile alla lettura su carta di quanto possiate immaginare (per lo meno, di quanto possa immaginare qualcuno che non abbia mai provato a leggere su schermo dotato di tecnologia E-Ink). Vi assicuro che, superato lo scoglio iniziale dovuto al drastico cambiamento per così dire “fisico” al quale va incontro un’abitudine radicata negli anni, dopo un po’ ci si scorda di avere tra le mani un libro elettronico.
Leggere sull’Opus un libro di tot centinaia di pagine che, in versione cartacea, peserebbe almeno il triplo rispetto a questo piccolo gioiellino, risparmiandosi così le terribili “piaghe da hardcover” appoggiato allo sterno/stomaco durante una sessione di lettura notturna… beh, benvenuta e-lettura!
Unico punto a sfavore (ma questo riguarda il mio lettore in particolare) il soli 5 pollici dello schermo, probabilmente il minimo indispensabile, ma è un prezzo che si paga volentieri in cambio di una più che sostenibile leggerezza.

Tutto questo non significa ovviamente che da un giorno all’altro io abbia abbandonato il buon vecchio libro “vero”: considero però questo acquisto come una nuova, importante possibilità di lettura, sia da un punto di vista pratico (ce l’avessi avuto quando ero in Giappone avrei liberato metà zaino dai tre voluminosi hardcover che mi ero portato dietro, con i più sentiti ringraziamenti della mia schiena) sia economico (ma, come già accennato in precedenza, non è mia intenzione addentrarmi nell’accidentato territorio del mercato dell’editoria elettronica).
Per chi poi non avesse intenzione di sborsare nemmeno 5 dollari, beh, immagino sappiate che la rete trabocca di eBook (in gran parte in lingua inglese, ma la disponibilità di titoli italiani è in costante e vertiginoso aumento) pronti per finire, attraverso vie poco ortodosse, dritti dritti nella memoria del vostro reader: basta salire in groppa al Mulo.



Link utili
Il sito della Bookeen.
Simplicissimus Book Farm, distributore italiano di eBook reader (e non solo).
Books on Board, online store molto fornito.
Calibre, ottimo freeware multipiattaforma per la gestione degli eBook.
La recensione di PcTuner.

Road to L.: la rat-censione

Titolo: Road to L.
Anno: 2005
Regia e sceneggiatura: Federico Greco, Roberto Leggio
Cast: Roberto David Purvis, Simonetta Solder, Fausto Sciarappa, Federico Greco, Valentina Lodovini, Carlo Lucarelli
Durata: 86 min.

Due studenti trovano a Montecatini un manoscritto autografo di H.P. Lovecraft che, se autentico, costituirebbe una scoperta di fondamentale importanza: il documento, risalente al 1926, è infatti il diario di un viaggio compiuto dallo stesso Lovecraft (che, a quanto risulta ufficialmente, non è mai uscito dagli Stati Uniti) in terra italiana, e più precisamente nella zona del Delta del Po. Le riflessioni e le testimonianze raccolte dallo scrittore americano in Veneto gettano nuova luce sugli lovecraftiani, in quanto avrebbero pesantemente influenzato la creazione delle sua peculiare mitologia, e in particolare di quel ricco e inquietante immaginario acquatico alla base di racconti quali Dagon e, soprattutto, The Shadow Over Innsmouth. Nel processo di stesura di quest’ultimo Lovecraft avrebbe attinto a piene mani dal folklore della zona, e in particolare ai cosiddetti “racconti del filò”, tanto da ipotizzare addirittura che Innsmouth altro non sia che una rielaborazione letteraria di Loreo. L come Loreo e come Lovecraft, sulla strada dei quali si mette una giovane troupe decisa a far luce sul mistero. Un mistero che si infittisce sempre più mano mano che i ragazzi tentano di squarciare il velo di omertà steso dagli abitanti della zona su un culto clandestino e sulla misteriosa scomparsa di Andrea Roberti, un laureando che, nel 1997, aveva per primo ipotizzato l’esistenza di un legame tra la mitologia lovecraftiana e le oscure tradizioni del Polesine.

Road to L. merita la promozione a pieni voti o quasi, e come minimo la più ampia diffusione possibile in rete. Prendendo come spunto uno dei più abusati espedienti letterari, quello del manoscritto ritrovato, Federico Greco e Roberto Leggio realizzano un mockumentary tanto classico nella forma (più gli anni avanzano, più ci si rende conto dell’importanza che riveste Blair Witch Project all’interno del cinema di genere) quanto originale nei contenuti. L’ipotesi alla base del film è un azzardo a tutto campo, una bizzarra prospettiva che rievoca certe geometrie “sbagliate” tanto care al sognatore di Providence: postulare un legame fra la tradizione orale del Filò e l’allucinato pantheon di divinità lovecraftiane è di per sé una mossa decisamente rischiosa. Sviluppare l’idea lungo il percorso tracciato da Federico e Roberto è da applausi a scena aperta.

Sono davvero molti i meriti attribuibili al finto documentario, a partire dalla scelta degli attori, tutti (ottimi) interpreti di se stessi. La troupe italo-americana, con tanto di parlato bilingue (o, come vedremo tra poco, trilingue), è credibile e ben caratterizzata, e riesce nel compito di mettere lo spettatore nei panni del partecipante a una ricerca che nella finzione si vuole spacciare per vera.

A impreziosire ulteriormente il processo di immedesimazione il fondamentale apporto degli autoctoni: le reticenti testimonianze raccolte dal gruppo, tutte rigorosamente in dialetto veneto, sono tanti mattonicini che di volta in volta si sovrappongono l’un l’altro, pezzi di un puzzle che lentamente prende forma ma che non verrà mai interamente completato. Al centro di questa fitta rete di segreti, cunicoli (sia metaforici sia reali), tradizioni legate a strani e antichi culti, i cosiddetti “racconti del filò”, che, a quanto testimonia il fantomatico manoscritto, tanta parte avrebbero nella produzione letteraria lovecraftiana. “Far filò”, ovvero sedersi attorno a un fuoco nelle sere d’inverno ad ascoltare le storie dei “contafole”, investiti del compito di tramandare per via orale ciò che non si voleva mettere in forma scritta. Ecco che allora sulla tradizione del filò gli autori innestano i germi delle allucinazioni lovecraftiane, accenni al terribile Dagon, dio pesce-rana, e ai suoi immondi adoratori, uomini destinati a una vita eterna nel profondo degli abissi marini. E così Loreo, paese del Delta che ospita la chiesa dell’Ordine degli adoratori di Dagon, diviene Innsmouth, l’orribile cittadina sulla costa del Massachussets che fa da sfondo a uno dei più famosi racconti di Lovecraft.

Capisco che, per chi legge, il tutto possa sembrare un tantino forzato, ma vi assicuro che il risultato è notevole, complice una regia che si destreggia con sicurezza tra concitate fughe, pause di riflessione, attimi di grande tensione psicologica e repentini primi piani, tipici del tipo di ripresa scelta, che rendono giustizia alle ottime interpretazioni del cast. Su tutte spicca la performance di Roberto Purvis David, nei panni di un attore italoamericano che sarà il protagonista principale delle riprese.

Sulla doppia finzione del ritrovamento e del documentario se ne innesta una terza, quella relativa al mistero della sparizione di Andrea Roberti. Studente di tradizioni popolari, Andrea aveva scelto come argomento per la propria tesi di laurea proprio il presunto legame tra la produzione lovecraftiana e il folklore del Delta del Po. La macchina del giovane viene ritrovata nel 1997 sulle rive del fiume, circondata da fogli e appunti per la tesi sparsi nel fango, e di Andrea nessuno saprà più nulla. La troupe raccoglie quindi le testimonianze della madre del ragazzo, stranamente rassegnata alla scomparsa del figlio, della fidanzata Valentina e di un Carlo Lucarelli in versione Blu Notte, con tanto di mani gesticolanti, finte interviste e spezzoni di telegiornale dell’epoca. Un altro punto a favore della verosimiglianza del tutto.

E ancora: ottima la fotografia, un’immersione nei pallidi colori di una regione avvolta nel mistero, tra paludi e case diroccate, campi a perdita d’occhio e tetre foreste di pianura alluvionale. Pur all’interno di un contesto storico e morfologico profondamente diverso, certe atmosfere lovecraftiane sono qui rievocate con effetti a dir poco sorprendenti, complice l’azzeccata scelta di una colonna sonora che fa leva sulle suggestioni orali delle filastrocche del filò. Cliegina sulla torta, un’efficace chiusura in pieno Blair Witch style, che ovviamente strizza l’occhio al più classico dei finali del sognatore di Providence.

Certo, il film non è esente da difetti, e in alcuni frangenti regia e sceneggiatura peccano di ingenuità: in particolar modo la seconda, che presuppone troppa conoscenza pregressa dei miti lovecraftiani per poter risultare appetibile a un pubblico digiuno di Cthulhu & affini, e che risolve alcune situazioni troppo sbrigativamente, giocandosi tutto più sull’effetto suggestione piuttosto che sulla credibilità delle stesse. Peccati di inesperienza che comunque non inficiano la buona risucita del film, ottimo esempio di come grazie a idee, passione e un pizzico di bizzarra originalità, anche nel cinema sia possibile attingere allo sconfinato immaginario lovecraftiano senza scadere nella banalità dell’uomo palmato e del mostro dai mille tentacoli.

Nota: su dvd.it il film è in offerta a € 5,99. Fate un favore a voi stessi e agli autori, premiandone così l'ottimo lavoro.

Link utili
Il sito ufficiale del film.
Manybooks, da cui è possibile scaricare gratuitamente alcuni tra i più famosi racconti di Lovecraft in formato ePub. Dato che l'opera di Lovecraft è ormai fuori diritti, è possibile consultarla direttamente online sul sito hplovecraft.com.

venerdì 5 febbraio 2010

La scena-cult della settimana

Torna a furor di popolo (non è vero, ma ve la beccate lo stesso) la fortunata rubrichetta della "Scena-cult" che, a partire da oggi, avrà cadenza settimanale.
Per festeggiare degnamente questa graditissima re-entry, direttamente dal film E ora qualcosa di completamente diverso (Monty Python, 1971), lo sketch dell'alpinista!
Enjoy!

giovedì 4 febbraio 2010

Zombies & Cigarettes

Un centro commerciale viene improvvisamente preso d'assalto da famelici zombie. Tre ragazzi e un gelataio si barricano in una stanza in cerca di un modo per salvarsi. Due di loro ne usciranno vivi grazie a un bizzarro espediente.

Arriva dalla Spagna questo cortometraggio (17 minuti circa) che affronta il tema-zombie nel più canonico dei modi, ma che, grazie alla qualità delle riprese e a un paio di trovate piuttosto originali, riesce comunque a farsi apprezzare. Il sangue scorre copioso, audio ed effetti speciali si attestano su livelli più che buoni per un prodotto semi-amatoriale, peccato per il cast decisamente improvvisato.
Non aspettatevi chissà cosa, ma se avete un quarto d'ora libero dateci un'occhiata.
(Thanks to Midian per la segnalazione)

Short film Zombies and cigarettes / English subtitle from Rafa Martínez on Vimeo.

mercoledì 3 febbraio 2010

Folli montagne, addio?


Ieri sera, mentre guardavo il film Road to L (a breve la rat-censione su queste pagine), mi chiedevo: ma non dovevano fare un film tratto da quel capolavoro che è At the Mountain of Madness? E non doveva essere nientepopodimenoche Guillermo Del Toro a dirigere l'operazione? Che fine ha fatto il progetto?
Già presagendo la cocente delusione, stoppo il film per una ricerca-lampo in rete.
Il mistero viene ben presto svelato:

Director Guillermo del Toro has written a screenplay based on Lovecraft's story, but in 2006 had trouble getting Warner Bros. to finance the project. Wrote Del Toro, "The studio is very nervous about the cost and it not having a love story or a happy ending, but it's impossible to do either in the Lovecraft universe." (Wikipedia)

Riavutomi dall'irrefrenabile attacco di risate, proseguo nella mia ricerca e vengo a sapere dal fansite ufficiale di Del Toro che il progetto, rifiutato dalla Warner, è stato sottoposto all'attenzione della Universal e che è tuttora "in development".

Ecco l'ultima dichiarazione rilasciata a riguardo da Del Toro stesso al sito:

September 16, 2009 (DTF Message Boards)
"Next year will start R&D on my lifetime commitment AT THE MOUNTAINS OF MADNESS."

Dunque, non tutto è perduto, anche se si prevedono tempi biblici.
Stay tuned.

martedì 2 febbraio 2010

I dischi del diavolo


Sono da oggi in vendita su amazon Dvd e Blu-ray di The House of the Devil, capolavoro horror del 2009 firmato da Ti West (qui la mia recensione).
Tra i contenuti extra:
- Sette minuti di scene inedite
- Un dietro le quinte (5 minuti)
- Due commenti audio "semiseri" nei quali il regista discute del film con i membri del cast
- Interviste & amenità di rito

Per chi fosse interessato all'acquisto, ecco i link:
Dvd
Blu-ray

Gremlins 3D

È con estrema sofferenza che riporto la seguente notizia.
Come segnalato poco fa da Splattergramma in questo post, la detestabile corsa al remake ha travolto un altro caposaldo cinematografico degli anni 80: i Gremlins di Joe Dante torneranno a invadere i nostri schermi. Ovviamente in tre dimensioni, ci mancherebbe!
Per gli irriducibili nostalgici (ho rivisto il film proprio qualche giorno fa, Matrix?), ecco il trailer originale dell'immortale capolavoro.

lunedì 1 febbraio 2010

Brian Keene, Urban Gothic: la Rat-censione

Autore: Brian Keene
Titolo: Urban Gothic
Editore: Leisure Books
Pagine: 302
Prezzo: $ 7.99
Isbn: 9780843960907

Siete in macchina, di ritorno da un concerto hip-hop che vi ha parecchio esaltato. Siete in sei, e quello al volante decide di fare una piccola deviazione nei sobborghi per recuperare un po' di ganja dal pusher di fiducia. Ma i sobborghi non li conoscete bene, vi perdete in un quartiere in cui nessuno vorrebbe perdersi e, peggio ancora, rompete l’auto. Un gruppo di ragazzini di colore si avvicina. Pensate che, nel migliore dei casi, vogliano rubarvi macchina e soldi. Dopo qualche rapido scambio di battute, non esattamente cordiali, ve la date a gambe. Vi rifugiate in una casa apparentemente abbandonata, sull'altro lato della strada. Vi nascondete. Peccato che non riusciate a nascondervi altrettanto bene dai mutanti cannibali che infestano la dimora. Benvenuti nel circo degli orrori.

Urban Gothic è il mio primo romanzo dichiaratamente horror/splatter. Sarà perché in Italia è un genere non esattamente presente sugli scaffali delle librerie, sarà perché (chissà perché poi) ho sempre associato il genere allo schermo più che alla carta stampata. Di conseguenza non ho idea di quale sia il livello medio della letteratura horror (ovviamente stiamo parlando dell'horror vero, non degli pseudo harmony vampireschi per adolescenti arrapati che, al contrario, scalano senza ritegno le classifiche di vendita) dei giorni nostri, e nemmeno avevo idea di chi fosse il signor Brian Keene. A questo punto direi che mi toccherà leggere qualcos’altro, sempre che riesca a trovare il coraggio di trattenere il fiato per altre 300 pagine.

Dire che Keene va dritto al sodo è usare un eufemismo. Dopo qualche breve capitolo introduttivo, utile più che altro a definire ruoli e dinamiche di gruppo tra i sei poveracci di turno, ecco che ci viene sbatuto in faccia senza troppi fronzoli tutto ciò che accompagnerà i i passi dei ragazzi (e i nostri, of course) all’interno della decrepita magione: un orrendo gigante con il vezzo di “violentare” qualche cranio da lui stesso sfondato con l’ausilio di una smisurata mazza (in entrambi i sensi), un sadico essere che ama scuoiare le sue vittime per poi indossarne la pelle, un branco di cuccioli (definirli “neonati” sarebbe piuttosto arduo) deformi che strisciano lungo le pareti dei tunnel sotterranei in attesa della prossima preda.
Niente di particolarmente originale, ve lo concedo: Keene preferisce giocare sul sicuro, rimestando senza pietà nel calderone dei vari Facciadicuoio & Co. Ma, proprio quando il meccanismo del già visto sta per innestarsi, ecco che interviene l’elemento dissonante, il tocco di originalità che, pur nell’assoluto rispetto dei canoni di genere, eleva il romanzo al di sopra della squallida media.

Gran parte del merito va anche a una prosa potente, diretta e completamente priva di filtri o inutili orpelli stilistici: pochi (ma sensati) i dialoghi, tantissima (e di ottima fattura) l’azione, con una predilezione per le scene al buio che rivela l’ottima capacità di Keene di mantenere alta la tensione giocando sulle sensazioni uditive e tattili più che su quelle visive (che comunque, ve lo assicuro, hanno un ruolo a dir poco fondamentale… leggere per credere, sempre che abbiate lo stomaco abbastanza forte per sopportare!).

A spezzare il ritmo (a tratti veramente sfiancante) della narrazione intervengono le sequenze esterne, che la arricchiscono con alcuni spunti di riflessione sociale (ripresi e deformati anche all’interno della micro-società mutante) che non brilleranno forse per originalità, ma che fanno comunque la loro sporco lavoro, regalandoci per lo meno un attimo di tregua prima del prossimo massacro.

Scontato e deludente invece il finale, dal quale, viste le premesse, mi sarei aspettato sicuramente qualcosa in più.

Voto: 3/5

Link utili
Il sito ufficiale di Brian Keene
I suoi libri su ibs
L'approfondimento dedicato all'autore su Malpertuis e la recensione di Urban Gothic by Elvezio Sciallis.