mercoledì 27 gennaio 2010

Jack Ketchum, La ragazza della porta accanto:
la rat-censione

Autore: Jack Ketchum
Titolo: La ragazza della porta accanto
Editore: Gargoyle Books
Pagine: 302
Prezzo: € 17,00
Isbn: 9788889541371

America, anni Cinquanta. Una cittadina di provincia come tante, un gruppo di ragazzini come tanti. In un caldo pomeriggio d'estate, uno di quei giorni in cui l'umidità ti si appiccica alla pelle come una sanguisuga, il giovane David ammazza il tempo cercando di catturare qualche gambero di fiume. Improvisamente si avvicina una ragazza, una ragazza nuova, mai vista nella piccola cittadina in cui tutti si conoscono. Si chiama Meg e, insieme alla sorella minore Susan, è stata affidata alla zia Ruth, vicina di casa di David. I genitori di Meg e Susan sono infatti morti in un incidente d’auto, che ha lasciato numerose fratture e ferite sul corpo della sorella minore. Ruth, divorziata con tre figli giovani, è una donna anticonformista, oggetto di ammirazione da parte di David e degli altri ragazzi del quartiere, ai quali permette di tanto in tanto di fumare una sigaretta o di bere qualche birra di nascosto. In apparenza, la sua è la casa in cui tutti vorrebbero vivere. Già, in apparenza. Perché qualcosa inizia lentamente a guastarsi nello sguardo della donna, uno sguardo che poco a poco diviene specchio di una crescente follia che si abbatterà inesorabile sulla giovane Meg, vittima sacrificale sull’altare di un gioco (il Gioco) al quale tutti i ragazzi sono invitati a partecipare…


La ragazza della porta accanto è un grande romanzo, che colpisce con inaudita potenza dritto alla bocca dello stomaco e mozza il fiato. E poi colpisce ancora. E ancora. Quando penso all'effetto che ha avuto su di me la lettura, la prima immagine che si forma nella mia mente è quella del limitare di un precipizio. Mi sporgo e il mio sguardo cerca di farsi strada tra le tenebre, dense e impenetrabili. So che lì sotto striscia qualcosa di terribilmente sbagliato, lo so perché il narratore me l'ha detto. Tuttavia non lo vedo. D'un tratto Ketchum mi spinge oltre il limite, scaraventandomi di sotto. Da quel momento precipito senza protezione nelle perversioni di una mente la cui integrità si erode alla stessa velocità con cui cado sempre più in basso, verso il fondo di una follia che sembra non avere mai fine. Fortunatamente, ce l'ha. Ma l'impatto col terreno è molto doloroso.

Affidandosi a una prosa asciutta ed estremamente efficace, Ketchum ci racconta la sua storia da un punto di vista privilegiato: seguiamo il corso degli eventi attraverso gli occhi di David, narratore in prima persona, ma il tutto è filtrato dal ricordo, poiché chi narra è il David ormai adulto. Ciò permette a Ketchum un vantaggio doppio: da un lato, l’identificazione del lettore con il David ragazzo, con tutti le conseguenze empatiche del caso, e, dall'altro, la possibilità per lo scrittore/narratore di ritagliarsi uno spazio di riflessione dal quale intervenire a distanza di sicurezza. Ed ecco che allora, già nel primo capitolo, David/Ketchum introduce il lettore a ciò che lo attende nelle pagine a venire: dolore.
Il dolore può agire dall'interno... Lo vedi e lui entra dentro di te. Poi sei tu. Sei l'organismo ospite di un lungo verme bianco che consuma e morde il tuo intestino, cresce e si gonfia fino a che una mattina tossisci e ti spunta dalla bocca la pallida testolina di qualcosa che striscia fuori, simile a una seconda lingua. No, questo dolore le mie mogli non lo conoscono. Io sì, però... L'ho conosciuto per molto tempo.
E poi, indietro nel tempo, a quella maledetta estate degli anni Cinquanta in cui tutto ebbe inizio.
Ricordo che eravamo tutti ragazzini quando accadde. (Ovviamente il lettore non sa ancora COSA accadde.) Soltanto ragazzini che avevano appena smesso di portare il berretto di pelo a forma di procione alla David Crockett. Giovani e acerbi, per Dio. E' decisamente difficile credere che quello che sono oggi è quello che ero un tempo, solo che adesso porto una maschera e mi nascondo. Ai ragazzi viene offerta una seconda chance, e mi piace pensare che io stia usando la mia.
[...] Ripeto a me stesso che stava accadendo qualcosa di strano, che una grande bolla americana stava per scoppiare; e che ciò stava accandendo ovunque, non solamente a casa di Ruth. Qualche volta questa convinzione mi aiuta a pensare che sia stato tutto meno grave. Intendo quello che abbiamo fatto.
Il punto focale, il centro di gravità attorno al quale ruota la riflessione di Ketchum è dunque esibito fin dalle pagine introduttive: il coflitto tra un indelebile senso di colpa, un'assoluta consapevolezza di ciò che è stato e delle responsabilità individuali da un lato, e, dall'altro, una dolorosa e sofferta autoindulgenza che trova parziale giustificazione nel secondo tema fondamentale affrontato nel romanzo: il venir meno delle barriere tra bene e male in assenza di figure in grado di tracciarne i limiti, con tutte le conseguenze del caso.
Ora ho quarantun anni. [...] E nulla nella mia vita è stato giusto da quell'estate del 1958, quando Ruth, Donny, Willie e tutti noialtri abbiamo conosciuto Meg Loughlin e sua sorella Susan.
Poi l'orrore ha inizio. Meg, vittima sacrificale del Gioco, e in misura ancora minore Susan, costretta ad assistere passivamente alle orribili torture alle quali la sorella viene costantemente sottoposta, sono forse i personaggi meno interessanti del romanzo, e svolgono più che altro la funzione di centro di gravità che attira a sé chi sta veramente a cuore a Ketchum: i ragazzini. Sono loro i veri protagonisti, molto più di Ruth, colei che detta le regole e sposta i confini del Gioco a suo piacimento (e per il suo godimento), e la cui colpa è quella di scivolare inesorabilmente verso la completa follia (ma è veramente una colpa?).

Da un lato, i figli di Ruth, primi veri partecipanti al Gioco, e gli altri ragazzi che a loro si aggiungeranno; dall'altro, David, spettatore passivo e lacerato, che potrebbe forse fermare la follia ma non lo fa, che assiste sgomento ma non chiude gli occhi, che osserva il corpo di Meg esposto agli avidi sguardi dei ragazzi traendone segretamente piacere, un godimento che soffoca la vergogna nello sguardo della ragazza. Il corpo sarà percosso, torturato, violato. Le regole del Gioco non esistono più.
Ruth voleva essere padrona assoluta della situazione. Lo spettacolo era suo e di nessun altro. Non c'era più nessun Gioco. Quella spogliata, nuda e appesa là sopra non era soltanto Meg; eravamo tutti noi.
E quando l'orrore giungerà al suo culmine, quando nemmeno le parole basteranno a descriverne le dinamiche, ecco che allora il David adulto si rifiuterà di dare forma al ricordo, ricacciando indietro quelle immagini che ancora consumano e mordono il suo intestino:
Non vi racconterò ciò che successe dopo. Mi rifiuto. Preferireste morire piuttosto che raccontare certe cose. Preferireste morire piuttosto che assistervi. E io vi ho assistito, e ho visto.
Di chi è la colpa? Fino a che punto si puntare il dito contro un branco di tredicenni a cui tutto è improvvisamente permesso? Chi è il vero responsabile dell'orrore? Ruth, la cui sanità mentale viene meno, senza che lei possa fare alcunché? I suoi figli, spinti (costretti?) dalla madre a calarsi sempre più in basso nelle tenebre? David, la cui passività sfocia nel più sordido voyeurismo, prima di (tentare di) espiare le sue colpe cercando di far evadere Meg dalla sua prigione sotterranea? O la legge, per la quale un minorenne non è mai pienamente consapevole delle sue azioni? E' davvero così? Lasciamo ancora una volta la parola a David:
Eravamo giovani. Non criminali o delinquenti. Così, secondo i termini di legge risultavamo innocenti per definizione, da non ritenere responsabili delle nostre azioni, come se tutti i ragazzi al di sotto dei diciotto anni fossero legalmente pazzi e incapaci di distinguere il bene dal male. I nostri nomi non vennero mai rilasciati alla stampa. Le nostre fedine penali rimasero pulite, e al fatto non venne data troppa pubblicità. La cosa al tempo mi suonò piuttosto strana, ma in fin dei conti, dato che non possedevamo gli stessi diritti degli adulti, immaginavo che fosse naturale anche esentarci dalle loro responsabilità. Era naturale, agli occhi di tutti fuorché quelli di Meg o Susan.

Link utili
La pagina del libro su aNobii
Il sito ufficiale di Jack Ketchum
Il sito della Gargoyle Books

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