lunedì 17 gennaio 2011

Shane Stevens, Io ti troverò: la rat-censione

Shane Stevens
Io ti troverò
Titolo originale: By Reason of Insanity
Fazi Editore
798 pagine, € 19,50
ebook: non pervenuto


Tra il luglio e l’agosto del 1973 l’America assiste terrorizzata e impotente alla carneficina compiuta da Vincent Mungo, il più spietato serial killer che ne abbia mai calpestato il suolo. Evaso dal manicomio criminale dov’era rinchiuso da pochi mesi, Mungo attraversa gli Stati Uniti da una costa all'altra, da Los Angeles fino a New York, lasciandosi alle spalle i resti di cadaveri orribilmente mutilati. Le vittime, tutte giovani donne, vengono torturate, stuprate, fatte a pezzi con una furia sanguinaria senza eguali, che affonda le radici nel tragico passato dell’uomo. Il suo è un compito superiore, una missione: la donna è il Male, lui, il cacciatore di demoni, libererà il mondo dalla sua abominevole presenza.
Mentre la scia di sangue diviene giorno dopo giorno sempre più densa, l’opinione pubblica, sconvolta dalla mattanza, inizia a chiedersi perché nessuno riesca a fermarlo. Già: perché nessuno riesce a seguire le tracce di Mungo? Perché, nonostante le sue fotografie tappezzino ormai i muri di decine di città, nessuno lo ha mai avvistato? Perché la polizia, impegnata nella più estesa caccia all’uomo mai dispiegata sul suolo americano, non ha la più vaga idea di come prevedere la sua prossima mossa?
Semplice: perché l’uomo che si sta prendendo gioco di tutti loro, il più feroce serial killer della storia d’America, non è Vincent Mungo.


Ci sono tre cose che non mi sono piaciute di questo romanzo: la prima, nonché più grave di tutte, è l’imperdonabile ritardo con cui il capolavoro, sì, lo dico senza pudore, capolavoro di Shane Stevens è stato pubblicato in Italia. Sono passati più di trent’anni da quando By Reason of Insanity, con largo anticipo rispetto a riconosciuti caposaldi del genere come Il silenzio degli innocenti, Il collezionista di ossa o American Psycho, ha inaugurato il filone dei serial killer letterari negli Stati Uniti. Un plauso a Fazi per averci consegnato un romanzo di tale importanza, ma una dolorosa tirata d’orecchi a tutta l’editoria italiana per avercene privato per tutto questo tempo.
La seconda e la terza riguardano proprio l’edizione italiana: il titolo, Io ti troverò, è quanto di più banale si possa immaginare e non rende minimamente giustizia all’originale, ben più significativo; e la copertina è totalmente fuori contesto (vorrei che qualcuno mi spiegasse da dove viene l’idea della macchina, dato che non trova alcun riscontro nel romanzo).
E basta.

Io ti troverò è un viaggio nella follia di una mente tanto disturbata quanto lucida e implacabile: Stevens ci conduce per mano in un tortuoso e oscuro labirinto di perversioni mentali che si proiettano all’esterno in una carneficina senza pari. Ci mostra ciò che resta così come farebbe una guida turistica con le rovine dei fori imperiali. La scrittura si fonde con la cronaca, con i nudi fatti: non c’è alcun giudizio morale, nessuna presa di posizione ideologica. L’assoluta naturalezza con cui ci vengono presentati i dettagli più raccapriccianti ci spiazza, ci sbatte in faccia il fatto che stiamo per assistere a qualcosa di orribilmente vero, tangibile, reale. Leggete qui: dopo anni di cinghiate, sevizie, torture fisiche e umiliazioni psicologiche, anni trascorsi in “un mondo in cui la crudeltà imperversava, il dolore era la norma e la morte era una liberazione”, colui che terrorizzerà gli Stati Uniti uccide sua madre. Aveva dieci anni:

A settembre Sara comprò una frusta. Disse al negoziante che pensava di comprarsi un cavallo. Lui le disse che avrebbe dovuto acquistare prima il cavallo, ma Sara comprò solo la frusta.
Quell’anno l’inverno venne presto. Sara e il bambino rimasero quasi sempre a casa e nella grande stufa a legna il fuoco bruciava vivace. La sua mente spesso vagava: a volte non riconosceva il bambino, a volte lo chiamava con altri nomi […] Le frustate divennero più frequenti.
Poi, una sera di fine dicembre, la mente del bambino si spezzò. Mise sua madre, ancora cosciente, nella stufa a legna e rimase a guardarla bruciare. Osservò il suo corpo sfrigolare e bruciare sino a mostrare il bianco delle ossa.

Tre righe. In tre righe Stevens condensa l'orrore assoluto, posa la prima pietra di una costruzione che, dopo essere rimasta incompleta per molti anni, riprenderà a crescere a ritmo indiavolato dopo la fuga del killer dall’istituto psichiatrico.

Ma non è solo nell’ottima scrittura che risiede la grandezza del romanzo: è la struttura, il ritmo, la gestione dei temi dell’azione, delle pause, delle accelerazioni. La consapevolezza dell’insieme. Stevens dipinge pazientemente, pennellata dopo pennellata, un quadro complesso e affascinante, in cui il serial killer è solo una delle componenti. Sono molti i personaggi che popolano infatti il romanzo, ognuno dei quali è costruito con mano sicura e tratteggiato con grande cura per il dettaglio: a ciascuno di loro è affidato un ruolo ben preciso nella macchina narrativa, ingranaggi pazientemente oliati e messi a disposizione del lettore.

Ottima, davvero ottima la gestione dei piani narrativi e dei punti di vista: la viva e tangibile tridimensionalità dei personaggi, il loro costruirsi dialogo dopo dialogo, pagina dopo pagina, è lo schema di montaggio che ci viene offerto, così che ogni ingranaggio possa essere inserito al posto giusto, nel momento giusto. E così, oltre alla vicenda principale si dipanano quelle “secondarie”, sempre comunque funzionali all’economia del romanzo e punto di partenza per riflessioni su temi di grande rilevanza sociale e mediatica che in quegli anni accendevano gli animi della popolazione: su tutti il dibattito sulla pena di morte, inaugurato e cavalcato a seconda delle necessità in seguito all’esecuzione di Caryl Chessman, il famigerato (e realmente esistito) bandito della luce rossa, stupratore seriale per molti e vittima sacrificale per altri. Un'esecuzione che sarà la scintilla da cui tutto avrà inizio.

Tra spregiudicati politicanti assetati di potere, detective frustrati, giornalisti più o meno invischiati in affari sporchi ed ex detenuti più o meno redenti, nella seconda parte del romanzo emerge l’ingombrante figura di Adam Kenton, reporter investigativo assoldato dal Newstime per trovare l’assassino prima della polizia. È lui il secondo, grande polo magnetico attorno al quale tutto converge, l’alter ego del killer, il suo più spietato cacciatore e forse l’unico in grado di capirne la contorta e tormentata psiche. L’assoluta e maniacale dedizione con cui si dedica a una missione ritenuta dai più impossibile è seconda solo a quella che il Diavolo della California dedica alle sue vittime e al suo delirante piano di purificazione del mondo, specchio di una sete di potere che, in fin dei conti, è il motore di tutte le vicende che si intrecciano nel romanzo.

Ma, ovviamente, il mattatore è lui, Vincent Mungo, o, come solo noi sappiamo fin dall’inizio, Thomas Bishop. Raramente mi è capitato di incontrare un personaggio dotato di tanta potenza narrativa. Da qualche parte mi sembra di aver letto che Thomas Bishop è Hannibal Lecter come se fosse stato descritto da Truman Capote. Vi assicuro che è molto di più.


L’incipit
Le fiamme divorarono avidamente il corpo, consumando e dilaniando la carne e i muscoli. Sfaldata, poi annerita e carbonizzata, la pelle si disintegrò rapidamente. Braccia, gambe e torso si sarebbero presto ridotti a un mucchio di ossa sbiancate dalle fiamme. E, a tempo debito, la testa, privata dei tratti somatici, sarebbe divenuta simile a un teschio.
In silenzio, se non per quel gemito cantilenante che gli risaliva dal fondo della gola, il ragazzo, con gli occhi folli illuminati dal rosso bagliore delle fiamme, osservava il corpo che bruciava, bruciava, bruciava…

9 commenti:

sartoris ha detto...

sono settimane che giro attorno a questo libro, ne parlano bene tutti (Tommaso Pincio lo fa in maniera davvero magistrale sul suo sito). Però francamente quasi 800 pagg. mettono paura (significa consegnare a questo tomo un bel pezzo del proprio tempo, con quel po' po' di wishlist che cresce sul comodino:-).

D'altronde, se prende, prende: e forse addirittura 800 pagg possono non bastare :-)

Re Ratto ha detto...

Smettila di girargli intorno e leggilo!
Davvero Omar, ti assicuro che prende eccome. E ti assicuro anche che le 800 pagine saranno l'ultima cosa di cui avrai paura...

Frankie Machine ha detto...

confermo, scorrono senza tregua, belle parole Re Ratto.

Re Ratto ha detto...

Grazie Frankie, e benvenuto in mia Tana.
Mi piacerebbe che questo romanzo, già così penalizzato dall'inspiegabilmente tardiva pubblicazione in Italia, avesse un po' più di risonanza mediatica di quella che gli è stata riservata.
Probabilmente oggi il serial killer non fa più notizia, dopotutto ormai abbiamo perfino i serial killer di serial killer!
Però è un vero peccato, questo è un romanzo come pochi nel suo genere.
Genere che, tra l'altro, ha avuto il merito di inaugurare.

Nico ha detto...

Ottimo libro, il tutto sembra estremamente reale. Una cronaca davvero dettagliata quella compiuta da Stevens. I personaggi sono molto realistici e ben caratterizzati.

Re Ratto ha detto...

Lieto che ti sia piaciuto: è davvero un romanzo di grande spessore (in tutti i sensi), ancora non mi capacito del perché sia stato pubblicato così tardi in Italia.

Silvia ha detto...

Ciao, mi chiamo Silvia. Io ho adorato questo libro e concordo con te sulla traduzione orribile del titolo. Per quanto riguarda la copertina direi che forse ha un riferimento ai 'delitti' di Chessman... chissà
Comunque assolutamente da leggere!!

bivox ha detto...

assolutamente d'accordo con tutti,l'ho terminato solo ieri sera,ma mi ha lasciato una tale amarezza,un cosi grande senso di angosciato smarrimento che sarà difficile togliermi di dosso.Uno straordinario capolavoro,e scusate il ritardo.

Elena A. ha detto...

Leggendo questo articolo mi è venuto in mmente Jack lo squartatore,ma solo che quello americano fu trovato in vece Jack nessuno fu capace di trovarlo.Elena A.