martedì 31 agosto 2010

David Small, Stitches: la rat-censione


La mamma: la sua tossettina... Ogni tanto un singhiozzo sommesso, dietro una porta... o gli armadietti di cucina sbattuti. Ecco il suo linguaggio.
Papà: tornato dal lavoro, prendeva a pugni un punching ball nel seminterrato. Ecco il suo linguaggio.
Mio fratello Ted: lui picchiava sul tamburo.
E anch'io avevo imparato come esprimermi senza bisogno di parole. Mi ammalavo. Ecco il mio linguaggio.

I problemi all'apparato respiratorio costringono David a sottoporsi a un'infinita serie di cure mediche, sotto lo sguardo inflessibile di un padre che sembra trattarlo più come una cavia da laboratorio che come il proprio figlio.
La situazione non migliora tra le pareti di casa, quelle che dovrebbero offrire al piccolo David un rifugio sicuro: la madre è infatti una donna rigida e rancorosa che sfoga sul figlio di sei anni tutte le sue frustrazioni, e il rapporto col fratello è pressoché inesistente.
In un luogo in cui la comunicazione è ridotta ai minimi termini, a sfoghi di rabbia repressa e a interminabili silenzi, la malattia diviene dunque l'unico mezzo col quale David esprime tutto il suo disagio.

Col passare degli anni le condizioni fisiche di David peggiorano: al ragazzo ora undicenne viene trovata un'escrescenza sospetta sul collo, curata con colpevole ritardo. In seguito a un'operazione apparentemente di routine David si ritrova con un'evidentissima cicatrice in più e gran parte delle corde vocali in meno. Quel doloroso silenzio nel quale David è stato costretto a vivere per undici anni sarà ora beffardamente parte di lui, per sempre. L'unica forma di comunicazione che gli rimane è quella nella quale si è rifugiato nel corso degli anni per sfuggire a una realtà sempre più ostile e impossibile da decifrare: il disegno sarà la sua voce.

Una delle (pochissime) critiche rivolte a Stitches riguarda una rappresentazione eccessivamente manichea dei rapporti umani. Critica che, a mio parere, è priva di fondamento per un semplice motivo: è così che un bambino vede il mondo. Le sfumature non fanno parte del suo bagaglio culturale e intellettuale. Ci sono i buoni e i cattivi, l'uomo bianco e l'uomo nero.

Per David, bambino di 6 anni tormentato dalle cure mediche del padre e dalle crudeli disattenzioni rivoltegli dalla madre, i suoi genitori sono uomini cattivi. Ed è così che l'autore li dipinge. Gli spessi occhiali a schermarne lo sguardo, impenetrabile barriera che li separa da un bambino terribilmente bisognoso di attenzioni, le ombre lunghe e minacciose, i lineamenti deformati. Noi li vediamo attraverso gli occhi di David, così come, attraverso il suo sguardo sincero e impaurito, osserviamo un mondo popolato da forme e figure delineate da luci e ombre più che dai loro stessi contorni e che tendono di conseguenza a fondersi, mescolarsi, riconfigurarsi.

Il tratto violentemente espressionista dell'autore trasferisce su carta un groviglio di sentimenti sempre in bilico tra stupore e orrore, regalandoci sequenze dal raro impatto emotivo, di fronte alle quali è impossibile rimanere indifferenti: così, mentre scrivo queste righe, sfoglio le pagine di questo piccolo capolavoro e mi lascio nuovamente conquistare dalle sue tavole, dalle parole scelte e dosate con cura, dai lunghi e dolorosi silenzi.

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