lunedì 30 giugno 2008
Stephen King, Duma Key
A causa di un incidente sul lavoro, Edgar Freemantle, ex costruttore edile, si ritrova senza il braccio destro, con un anca a pezzi e una mente dislessica che fatica a mettere ordine nel doloroso flusso di pensieri che l’attraversa. Abbandonato dalla moglie, incapace di convivere con i suoi repentini e imprevedibili scatti d’ira, Edgar si trasferisce a Duma Key, una piccola isola della Florida, dove prende in affitto una casa sul mare in cui rifugiarsi e rimettere insieme i frammenti della sua vita.
La villa, da lui ribattezzata Big Pink, si rivela essere un toccasana per il claudicante cinquantenne: le Grandi Passeggiate in spiaggia, durante le quali si spinge ogni giorno un po’ più in là, favoriscono la guarigione dell’anca dolorante, mentre in lui nasce e cresce vertiginosamente un’urgenza di dipingere i memorabili tramonti del luogo, reinterpretandoli in chiave surrealista. Un desiderio sempre più forte e insopprimibile che sembra trarre la sua linfa vitale da un fastidioso “prurito” al braccio mancante e che si riversa sulla tela con risultati sempre più inquietanti.
Ma Edgar non è l’unico a subire l’influenza di Duma Key: durante una delle sue passeggiate incontra Jerome Wireman, ex-avvocato che ha perso moglie e figlia e che convive con una pallottola conficcata in testa, risultato di un maldestro tentativo di suicidio. Un’esperienza che gli ha lasciato in dote una parziale cecità, improvvisi attacchi epilettici e una sorta di telepatia che sull’isola si è progressivamente sviluppata. A Duma Key Wireman, dismessi i panni dell’avvocato, si occupa di Elizabeth “Libby” Eastlake, anziana proprietaria terriera ormai vittima dell’Alzheimer, che da piccola batté la testa e perse la facoltà di parola, sviluppando nel contempo una precocissima abilità artistica. Il disegno, l’unica forma di espressione di cui era capace, le serviva per raccontare e reinventare il suo mondo: anche lei spinta da un’insopprimibile urgenza, che forse affondava le sue radici nella stessa terra (o acqua?) da cui proviene quella che agita Edgar.
Cito di seguito un estratto dalla recensione pubblicata da Wu Ming 1 su l’Unità, che cita a sua volta un articolo di Beppe Savaste:
Come ha scritto Beppe Sebaste, il piacere che si prova leggendo un libro così “non coincide con i momenti culminanti, con le peripezie o le rivelazioni del senso, la scoperta della verità [bensì] coi momenti morti, la bonaccia della storia, i fatti banali e quotidiani, le ripetizioni del già noto”. In molti romanzi di King, a rapire il lettore è proprio il racconto della “bonaccia”, il ritmo della vita quotidiana, o meglio: il tentativo di tornare a quel ritmo, di riconquistare una quotidianità dopo che un dramma ha distrutto la vecchia vita. E’ questo il vero eroismo dei personaggi di King (Mike Noonan in Mucchio d’ossa, Lisey Landon in La storia di Lisey, Edgar Freemantle e Jerome Wireman in Duma Key), non il fatto che affrontino fantasmi, psicopatici o morti viventi. L’eroismo del quotidiano rende Duma Key un romanzo memorabile, tanto che dispiace quando la storia, dopo tanti indugi, si abbandona all’extra-ordinario, al soprannaturale. Intendiamoci, il patatrac e la corsa contro il tempo delle ultime cento pagine sono più che godibili, e il finale è uno dei migliori scritti da King (autore sempre a rischio di anticlimax), ma sono i primi 3/4 del libro a rimanere impressi. L’ultima parte è rideclinazione del già-narrato, lavoro sui clichés nel tentativo di “riaccenderli”.
Non saprei trovare parole migliori. Duma Key è un romanzo intimo, animato da sentimenti genuini e brutali: nelle sue pagine, dalle quali affiorano moltissime situazioni care al Re (una capacità “soprannaturale” che scaturisce da una menomazione fisica, la pittura come ponte tra la realtà oggettiva e l’”altro”, la presenza e l’apparizione di due bambine morte molto tempo prima...), si intrecciano le dolorose storie di personaggi pesantemente in credito con la sorte, costretti a fare i conti da un lato con un passato (il loro) che ha indelebilmente segnato il loro destino, dall’altro con un passato (quello del luogo, e della famiglia Eastlake) che riemergerà (in questo caso letteralmente) dalle acque per saldare un conto in sospeso da molti decenni.
Per quanto mi riguarda forse ho preferito La storia di Lisey, ma qui ci si inoltra nel terreno dei gusti personali: in ogni caso, come sempre accade coi libri del Re, leggere Duma Key è stato semplicemente un piacere.
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6 commenti:
non è una bella notizia per il mio comodino
Ieri sera ho attaccato La ragazza che giocava con il fuoco, secondo volume della Millennium Trilogy. Altro mattonazzo da 750 pagine, ultimamente mi ritrovo a leggere solo tomi piuttosto voluminosi...e I fratelli Karamazov è lì che mi aspetta paziente...
Comuque consiglio a tutti di leggere gli ultimi due romanzi del Re, ne vale veramente la pena.
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